Zidane, l’epifania della bellezza

Zidane, l’epifania della bellezza

Sul numero 22 di «Rivista Undici» scrivo di trasformazioni alchemiche e del XXI secolo, di oro e piombo, di malinconia e splendore. Insomma, di lui: monsieur Zinedine Zidane.

Era arrivato in estate. La Juventus l’aveva pagato 7.5 miliardi di lire dal Bourdeaux. Non si era inserito subito, forse per l’impatto con gli allenamenti molto intensi del preparatore Ventrone, forse per il 4-3-3 di Lippi che, in mezzo tra Conte e Dechamps, gli lascia poco spazio. Fatto sta che all’inizio Zinedine Zidane sembrava un po’ sperso. Almeno fino a ottobre, quando un infortunio di Conte spinge Lippi a cambiare schema e con il 4-4-2 e Zidane si sposta un po’ più avanti, dietro l’attacco. Quell’anno, quella stagione 1996-97, me la ricordo soprattutto per una cosa: per la prima volta vidi un uomo passare dallo stato di bravo calciatore a quello semidivino di campione. Davanti ai miei occhi, partita dopo partita, si era compiuta una trasmutazione alchemica di stato. Avevo vent’anni: abbastanza per spogliare lo sguardo delle ingenuità infantili, non troppi perché l’esperienza soffochi la magia.

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