Vivere senza critica

Vivere senza critica

Siamo assediati da consigli e giudizi di amici su qualunque prodotto culturale, mentre la critica professionistica agonizza. Possiamo dirle addio?

Chi ha bisogno della critica oggi? Di quella professionistica intendo. Siamo assediati da consigli, suggerimenti, giudizi di amici e di amici tra virgolette, tipo quelli di Facebook. Che sia su film, dischi, amanti, ormai nessuno – a meno che non sia, beato lui, privo di connessione a Internet – si basa più su una recensione scritta da un critico professionista. Forse perché la recensione la sta già scrivendo lui: chiunque abbia un account di Tripadvisor, o Amazon, iTunes, Netflix è chiamato, in qualche momento della sua vita di consumatore, a improvvisarsi esperto di qualcosa che ignora (e che, sperabilmente, ha provato: ma non sempre. Ho scoperto che è in corso un acceso dibattito sulla pagina di Amazon del blu ray del Risveglio della forza, un prodotto che uscirà soltanto il 13 aprile ma che possiede già cinquanta recensioni degli utenti, molte delle quali sono di protesta contro le altre recensioni…). Che poi tutte queste “stelline” vadano a nutrire il mostro dell’algoritmo è un altro discorso. Quello che mi colpisce, invece, è come si sia tutti chiamati a fare i critici: quasi che per avere diritto di cittadinanza nel presente si debba essere anche dei raffinati ermeneuti. La città dell’interpretazione non dorme mai. Il consumatore perfetto non è quello superficiale e facilone – come la nostra Kulturkritik anni Sessanta e Settanta continuava a ripetere – ma quello sinceramente appassionato, l’esperto. Il nerd. In un certo senso, allora, stiamo vivendo l’epoca d’oro della critica. Il sogno di tante matricole di Lettere – essere chiamati a esprimere un giudizio estetico – si sta avverando per tutti.

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