Manifesto contro le serie tv intelligenti

Manifesto contro le serie tv intelligenti

Poche cose creano più imbarazzo di confessare in pubblico di non aver visto certe serie televisive. Ricordo quando davanti a degli amici, anni fa, mi scappò un «Non ho mai visto i Soprano e di Mad Men mi sono fermato alla prima stagione»: dal silenzio accusatorio che ne seguì intuii di aver detto qualcosa di sbagliato. Non è che non ne vedessi proprio, di serie, semplicemente non seguivo quelle lì, preferendone altre decisamente più sbarazzine, di genere. Diciamolo pure: da nerd. Col peso girardiano dello stigma sociale che di colpo mi era calato sulle spalle, quel giorno capii che c’era bisogno di un «Manifesto contro le serie intelligenti» che liberasse il popolo oppresso di quelli che si annoiano facilmente dal dito puntato dei paladini dell’intrattenimento ponderoso. Perché, insomma, Breaking Bad sì e le astronavi di Battlestar Galactica no? Perché dovevo infliggermi ore di Master of Sex, una storia del rapporto Kinsey straordinariamente priva di sesso, e negarmi Game of Thrones che non solo ha il sesso ma pure i draghi?

Quello che c’è da sapere sull’ambiguità delle relazioni umane, mi dicevo, o sui sentieri tortuosi del desiderio, o su quella sindrome di Stoccolma che sono certi rapporti di coppia, me lo insegnano già la vita e il suo zelante supplente, il romanzo. Dalle serie televisive voglio i draghi, per tutto il resto c’è L’uomo senza qualità.  Già Boileau nell’Art poetique scriveva che «in una storia frivola tutto si perdona facilmente; è già tanto che, andando di fretta, la finzione diverta; troppo rigore sarebbe fuori luogo». Però era il 1674 ed è improbabile che ce l’avesse con Tony Soprano. No, era il romanzo che Boileau stava tenendo fuori dal sistema dei generi istituzionali: va bene che i letterati si divertano con i romanzi, scriveva, ma che non ci perdano troppo tempo, né ci cerchino troppo rigore, in fondo non sono una cosa seria.

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