Il futuro del futuro è in Africa

Il futuro del futuro è in Africa

Sul «Venerdì» di «Repubblica» faccio una ricognizione dell’afrofuturismo e qualche domanda alla straordinaria Nnedi Okorafor, autrice di Binti e della prossima serie prodotta da George RR Martin. L’articolo inizia così.

«A Lucca mai!» A chi all’epoca gli chiedeva se era possibile immaginare un romanzo di fantascienza ambientato in Italia, Carlo Fruttero, che negli anni sessanta insieme a Franco Lucentini dirigeva «Urania» e dell’argomento se ne intendeva, rispondeva così: un Ufo non sarebbe mai atterrato a Lucca, o in qualsiasi altra città italiana se è per questo. Chissà come reagirebbero oggi
“F&L” se qualcuno gli dicesse che gli alieni sono atterrati a Lagos, Nigeria. Eppure è proprio così: oggi la fantascienza più vitale e interessante ha le radici ben piantate in Africa ed è in quella direzione, anche quando a scrivere sono autori afroamericani, che bisogna guardare se si cerca un immaginario nuovo, locale e globale allo stesso tempo. Insomma, il futuro è africano, anzi: afrofuturista.
Il termine afrofuturismo è stato coniato nel 1994 dal critico Mark Dery in un saggio che fin dal titolo («Black to the Future») provava a ribaltare i punti di vista: perché la fantascienza, si chiedeva, è così «bianca»?

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