Costa Azzurra

Costa Azzurra

Su «Rivista Studio», il numero 27, c’è un mio lungo reportage sentimentale/racconto dalla Costa Azzurra.

E poi c’è il colore del mare. Ogni volta che passavo la frontiera a Ventimiglia non potevo non notare quel cambiamento, quasi improvviso, del colore del mare: dal verde davanti al quale sono cresciuto, a Sanremo, a pochi chilometri da lì, al blu oltremare di Mentone, al blu di Prussia di Montecarlo, al turchese accecante di Nizza. Quel passaggio di tavolozza, per me bambino, aveva qualcosa di misterioso, di inspiegabile. Una trasformazione alchemica che dal mare – ne ero convinto – doveva estendersi alla terra ferma, agli abitanti, infiltrarsi fin nei legami atomici delle cose che qui mi apparivano più luminose, più nuove, più pulite. 

Era come se la linea bianca che segnava la frontiera tra Italia e Francia al ponte di San Ludovico, il tratto dell’Aurelia dove c’era la dogana, si tuffasse nel mare antistante per tracciare un confine invisibile ma altrettanto netto e impedire al verde e al blu di confondersi. Attraverso lo specchio entravo in questa terra così simile a quella in cui ero nato, ma allo stesso tempo così diversa, come se tutto quello che conoscevo avesse qui il suo doppio, ma migliore. 

Questo, per me, è sempre stata la Costa azzurra: una versione migliore di me.

Inizia così, il resto è sul cartaceo: «Rivista Studio», numero 27. 

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