Per molto tempo ho dato l’estate per scontata. Come molti di quelli nati in città di mare, ho sempre considerato tutto il complesso militar-turistico-vacanziero un peso da sopportare più che qualcosa di cui godere. Non sapevo che ero solo privilegiato. Forse per questo i primi anni a Torino ho imparato ad apprezzare il fascino discreto delle estati cittadine, la malinconia dei dehors abbandonati, lo smarrimento delle serrande abbassate, l’amarezza delle amicizie interrotte. La noia malmostosa, i giri a vuoto, le birre da solo ai bar dei cinesi. C’è un libro che descrive benissimo questo sentimento, questo tipo di estate di camminate e solitudine, ed è uno dei più bei libri che abbia mai letto. L’ha scritto Georges Perec nel 1967 e si intitola Un uomo che dorme (in italiano si può leggere tradotto da Jean Talon per Quodlibet).