L’arte di smarrirsi

L’arte di smarrirsi

Ho sempre sognato di scrivere una storia degli smarrimenti. Di come ci si perde in una città. Perché dei tanti modi di classificare la letteratura, non è ancora stato adottato questo: dividere il repertorio delle storie tra i libri che raccontano l’attraversamento di una città e quelli che raccontano il perdersi in essa. Ne scrivo su «IL» del «Sole 24 Ore»: lo spunto qui è uno dei miei libri del 2018, L’ultima Londra di Iain Sinclair, ma alla fine si parla del perdersi e delle città – due dei pochi argomenti su cui sono preparato. Dentro ci sono gli amici di sempre: Ballard, Benjamin, Sebald, Laing e Sinclair appunto.
Smarriti di tutto il mondo, questo pezzo è per voi.

Ho sempre sognato di scrivere una storia degli smarrimenti. Di come ci si perde in una città. Perché dei tanti modi di classificare la letteratura, non è ancora stato adottato questo: dividere il repertorio delle storie tra i libri che raccontano l’attraversamento di una città e quelli che raccontano il perdersi in essa. Alla seconda categoria appartengono le scritture fedeli al motto di Walter Benjamin: «Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare» (in Infanzia berlinese). Non a caso Benjamin è il grande santo protettore di tutti quegli autori che hanno fatto della città, e del perdersi in essa, la propria musa e il proprio oggetto privilegiato. «Ché i nomi delle strade devono suonare all’orecchio dell’errabondo come lo scricchiolio di rami secchi e le viuzze interne gli devono rispecchiare nitidamente come le gole montane», prosegue Benjamin, ed ecco che la città, le sue strade, i suoi palazzi, il centro e le periferie, le fabbriche e i passages pieni di vetrine, diventano di colpo paesaggio naturale da osservare con l’occhio laterale, visionario e naturalista a un tempo, del flâneur.

Continua su «IL» del «Sole 24 Ore».