Leggere Sebald al tempo di internet

Leggere Sebald al tempo di internet

Com’è possibile che un autore come Sebald, così legato al Novecento e alle sue tragedie, così tradizionalista a livello personale (non possedeva né un fax né una segreteria telefonica, ed era l’unico membro della facoltà dell’Università dell’East Anglia a non avere un computer in ufficio), sia, più di ogni altro scrittore contemporaneo, l’autore da leggere per capire lo stato di confusione perenne in cui siamo immersi? Su «Esquire» scrivo del perché leggere Sebald al tempo di internet. Parla dell’autore di Austerlitz per parlare di corsi preparo e to-do list, foto dei figli sui social e algoritmi, ma soprattutto racconta della mia grande ossessione di non ricordare più nulla, mai nulla.

Da qualche tempo ho sviluppato una strana abitudine. Qualcuno la definirebbe una perversione, o un sintomo fatale della mezza età, a me piace pensarla più come una particolare forma di meditazione. È iniziata così: alla fine del corso preparto che frequentavamo quando aspettavamo nostra figlia (be’, uno dei due corsi preparto che la mia compagna ha voluto che frequentassimo: sovrabbondanza doppiamente inutile perché tanto poi il parto è stato cesareo. Ma non divaghiamo), alla fine di uno dei corsi preparto, dicevo, l’ostetrica faceva distendere i futuri genitori su dei tappetini, li invitava a chiudere gli occhi e a visualizzare un luogo a loro scelta, un posto in cui si erano sentiti al sicuro in passato.

Così ho provato a ricordare la casa di mia nonna in cui trascorrevo le estati: ne ho ridisegnato la pianta, ho accarezzato nuovamente la granulosità della carta da parati, ne ho rievocato il rumore della porta d’entrata, la luce filtrata dalla palma in giardino che batteva sul muro della camera da letto, lo specchio in fondo al lungo corridoio che nascondeva un piccolo, odoroso sgabuzzino pieno di libri, vecchie foto di famiglia, cimeli di guerra di mio prozio.

Un’opera di consapevole e devota ricostruzione che ho trovato sorprendentemente rilassante al punto da ripetere l’esperienza più volte da allora, con altri luoghi del passato – la casa in cui sono cresciuto, le scale delle scuole elementari… – in momenti vuoti o prima di addormentarmi la sera. Quello che trovavo rassicurante non era tanto il ricordo in sé, quanto l’atto stesso di ricordare: stavo allenando la memoria. Facevo, praticamente, dello stretching mnemonico.

Il fatto è che sono sempre più tormentato da una convinzione: quella di non ricordare niente. «Tutto è recente come uno squillo di sveglia», cantava il Battisti panelliano, e almeno per me è proprio così: «la data più vicina è un dormiveglia». Un dormiveglia in cui eventi, incontri personali, libri letti, serie viste, fatti storici del recentissimo passato si mescolano in un unico pastone grigio.

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