Lo spirito di Bolaño

Lo spirito di Bolaño

Negli anni più ansiosi della mia giovinezza, se la notte a letto non riuscivo a addormentarmi per pensieri agitati – interrogazioni, esami, amori infelici, il generico informe domani – svuotavo la testa elencando mentalmente la bibliografia di Philip Dick, i personaggi di Dune, la genealogia di influenze che univa Samuel Delany ai cyberpunk, finché la meccanica ripetizione di quei nomi amati non mi introduceva alla quiete del sonno. Quel rosario di nomi snocciolati nel dormiveglia aveva anche qualcosa della preghiera, della supplica, un’invocazione «agli dèi ulteriori» della fantascienza da parte di un loro fedele adepto. Me ne rendo conto adesso leggendo Lo spirito della fantascienza, romanzo giovanile e inedito di Roberto Bolaño, una divinità entrata poco più tardi nel mio pantheon letterario, quando intorno ai vent’anni conobbi anch’io i miei «perros romanticos», compagni di università e letture che mi convinsero a uscire di casa.

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