Leggere e guardare le figure

Leggere e guardare le figure

Un mio viaggio da Warburg all’Intelligenza artificiale (in particolare quel sito pazzesco che crea dei volti di persone che non esistono), o viceversa, dalle IA a Mnemosyne, da Pinterest al Rituale del serpente. Su «IL» del «Sole 24 Ore».

Uno degli incipit più triti della narrativa – se non il più banale in assoluto, quello che qualsiasi editor vi casserà perché stufo di leggerlo in centinaia di manoscritti – prevede che il protagonista prenda in mano una foto e inizi a ricordare la scena in cui è stata scattata. Siamo al livello della «marchesa che uscì alle cinque», l’esempio di pessimo inizio che una volta fece Paul Valéry. Questo è vero per le fotografie descritte nel libro, discorso diverso, invece, per le immagini direttamente inserite nei testi letterari. Perché, tra i libri più interessanti, innovativi e eccitanti che mi sia capitato di leggere da un po’ di anni a questa parte, molti di essi hanno al loro interno, a punteggiare la narrazione apparentemente senza criterio, delle fotografie? Penso, solo per restare agli ultimi, a Città sola di Olivia Laing, Nel mondo a venire di Ben Lerner o, fresco di traduzione per Guanda, In tutto c’è stata bellezza di Manuel Vilas in cui il rabdomantico ricamo tra memoria intima e collettiva è traforato da una manciata di struggenti foto di famiglia. Perché, invece del terribile effetto “diapositive delle vacanze”, ne ricaviamo un’emozione così intensa? Io un’idea me la sono fatta. Servono innanzitutto a farci capire che quelli che abbiamo davanti sono libri ibridi: non sono romanzi, non sono saggi in senso accademico, non sono storie inventate anche se sono raccontate in modo narrativo.

Continua su «IL» del «Sole 24 Ore».

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