E qui resterò

E qui resterò

Un mio racconto di amori, critica letteraria e Negroni.

«Abbiamo cominciato con i gin tonic (due ciascuno), per poi passare a una quantità pazzesca di vino rosso di non eccelsa qualità. Io ho cercato di fare del mio meglio per tenere il passo di Burgess, che, alle cinque, aveva preso a bere un brandy doppio dopo l’altro come se si trattasse di una gara: tre sorsate, sollevava il bicchiere e ne ordinava un altro. Alle sei ha chiesto un gin tonic. Che ha posto fine alla seduta, sebbene per qualche istante io abbia avuto l’impressione che stessimo per ricominciare, o meglio rivivere, tutto daccapo».

I saggi e gli articoli letterari di Martin Amis sono pieni di osservazioni del genere: non c’è quasi scrittore che vada a intervistare con cui non divida uno, due, tre, infiniti bicchieri. Soprattutto con quelli, come Burgess e Ballard («arrivai a casa di Ballard alle undici del mattino e mi accolse al grido di: “Whisky! Gin! Vodka!”»), che frequentava fin da ragazzo in quanto amici del padre Kingsley.

All’epoca non esistevano traduzioni italiane dei saggi di Amis: era René che ci passava le fotocopie degli originali inglesi, seduti al tavolo mentre bevevamo Negroni, l’altra scoperta a cui ci aveva introdotti. «La mia vita privata era alquanto bohémien, hippy ed edonistica. Diciamo pure tranquillamente debosciata. Ma in fatto di critica letteraria avevo principî morali ferrei. Non facevo che leggere libri di critica: mi portavo dietro i miei Edmund Wilson e William Empson praticamente ovunque: nella vasca da bagno, in metropolitana. Prendevo questa faccenda molto sul serio». La nostra vita non era particolarmente bohémien, hippy ed edonistica – tutt’altro, forse solo un po’ debosciata, almeno a giudicare da tutto quello che bevevamo: un Negroni dopo l’altro «come se si trattasse di una gara» – ma ci piaceva crederlo. Quello che ci seduceva, quello che fregava quel gruppo di ventenni studenti di Lettere, credo, era l’idea che la critica fosse qualcosa da prendere sul serio, una questione di vita o di morte, e non quello che il resto del mondo, già alla fine degli anni Novanta, considerava poco più che antiquariato.

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